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Il Cavaliere Solitario

 

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NOTE SU QUANTO SEGUE

Tutto quanto leggerete è frutto della mia fantasia e, ogni riferimento a fatti è puramente casuale, ci sono cose mischiate nel tempo

i cui avvenimenti mi hanno ispirato a scrivere quanto sotto leggerete. Riporto qui tutto quanto ho scritto nella pagina del Cavaliere Solitario

di Facebook, anche frasi e parole degli amici, dei giornali, che più mi hanno colpito.

Massima

Massima del Cavaliere Solitario:

L'amore che nasce nel virtuale è come una sottile lastra di vetro che si frantuma a contatto della realtà.

Il Cavaliere Solitario

giovedì 19 novembre 2020

"Scusatemi figli miei ma voglio morire, mamma", i messaggi lasciati sulla Settimana Enigmisitca dai pazienti Covid prima dell'addio.

Parole, sguardi. Sentimenti mediati. Messaggi d'addio scritti con le ultime forze a disposizione ai margini delle parole crociate, su una rivista. Oppure affidati con gli occhi ai medici e agli psicologi delle terapie intensive. Per cercare di accorciare le distanze, bucare le pareti che separano i malati dalle loro famiglie. "Perché un reparto covid è come un bunker - raccontano i medici - quando i pazienti entrano, se non ce la faranno, i loro cari non li rivedranno più".

I protocolli anticontagio non ammettono deroghe. Chi è ricoverato lo sa: lotta contro la malattia e contro la paura. "Non voglio impazzire, fatemi addormentare senza risvegliarmi", scriveva 20 giorni fa sulle parole crociate, ai medici, una 70enne ricoverata nel reparto covid dell'ospedale Vannini, al Casilino. La donna non risponde all'ossigeno terapia né ai farmaci. Non vuole sottoporsi al casco "Cpap" con l'ossigeno a pressione positiva. Si spegnerà poche ore dopo. Non prima di aver dedicato l'ultimo pensiero ai suoi amori: "Scusate figli miei, ma voglio morire dormendo".

Un messaggio "in bottiglia". Sette parole scritte in corsivo sulle stessa pagina delle parole crociate, che i sanitari troveranno aperta al momento del decesso sul bordo del letto. E che avranno cura di inserire nella sacca degli effetti personali da riconsegnare alla famiglia. Non c'è spazio per un'ultima carezza, neanche dopo.Chi è ancora vigile e combatte con la testa dentro a un casco usa lo sguardo per cercare il conforto dei medici. O quello dei propri cari collegati in videochiamata, se è ricoverato al policlinico di Tor Vergata e può contare sul supporto di Francesca Alfonsi, psicologa e psicoterapeuta delle Terapie intensive dell'ospedale, impegnata nel ruolo di mediatrice della comunicazione tra i pazienti e i loro familiari.

Dall'inizio dell'emergenza Alfonsi ha trattato oltre cento casi. Molte persone sono scomparse. La psicologa, nello svolgimento della sua professione, è chiamata a entrare nelle insenature più profonde delle loro vite. A conoscere i dettagli degli amori sbocciati decenni orsono sui banchi dell'università o su una spiaggia del litoriale. Riceve quotidianamente le chiamate dei familiari, non solo per fornire loro il supporto psicologico nel corso di colloqui che durano anche oltre un'ora ciascuno, ma prova a colmare il vuoto. Buca le pareti del bunker.

Dispensa al paziente le carezze, "sulla guancia" o "sul piede" che "a lui piacciono tanto" e che la moglie, la fidanzata, all'altro capo del telefono, non possono dargli. Veicola in maniera bidirezionale le parole d'addio o i messaggi di sprone: l'ultima volta è successo solo due giorni fa per un paziente di 50 anni che come la signora del Vannini, era stanco, spaventano e rifiutava di essere intubato.

"Papà non puoi mollare adesso - gli dice la figlia 27enne - io mi devo ancora sposare, devi portarmi tu all'altare. Mia sorella deve laurearsi. Fatti intubare, fallo per noi, non puoi negarti questa possibilità".

Il pensiero, anche prima di andarsene, è sempre volto all'esterno. "C'è un grande bisogno di dare continuità al quotidiano - rileva Alfonsi - ho nella mente nomi, toni di voce, mi vengono affidati gli aspetti più intimi dei rapporti familiari. Durante i colloqui si vivono momenti di grande commozione".

Così accade che un 55enne poco prima di spegnersi sussurri queste parole: "Dica a mia moglie che in camera da letto, dentro al primo cassetto del mio armadio, c'è una lettera per lei". Un testamento scritto prima del ricovero, con i dati dei conti correnti bancari, le direttive di ordine pratico per la vita futura della famiglia.

I pazienti intubati e non più coscienti, tramite la psicologa ricevono le carezze, le parole dei nipoti."Nonno sbrigati a tornare - lo esorta il più grande dei cinque nipotini - perché come ci spingi tu sull'altalena non ci spinge nessuno".

Domani la figlia di un 51enne scomparso a marzo discuterà la tesi di laurea sulla genitorialità nell'intercultura che ha dedicato al padre: "Solo in questo modo - sottolinea - posso restituirgli il regalo che mi ha fatto consentendomi di poter studiare".

Lui ne sarebbe orgoglioso. Come lo era dei suoi figli il paziente che 20 giorni fa se ne è andato dedicandogli con queste parole: "Vi ho amati più di ogni altra cosa al mondo, ma sono veramente stanco e non ce la faccio più".

Sempre dedicato a chi si sente invulnerabile.

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