Mi chiamo Antonino P., ho 76 anni e in questo momento sono
in un letto d’ospedale, intubato.
Loro non lo dicono, ma uno lo
capisce quando è il momento.
È una ventata gelida che senti e non senti, però la riconosci
subito, non hai dubbi.Per loro sono l’ennesima
vittima di un virus venuto dalla Cina. Covid-19, l’hanno chiamato, come
se covasse per esplodere improvviso e spargere schegge di morte ovunque.
Respiro a fatica, l’infermiera viene spesso a controllarmi,
ha gli occhi stanchi, ma si
sforza di apparire serena.
Il medico, invece, è sempre sudato, ha goccioline sulla
fronte come una corona, e non capisco se è per
i turni massacranti o per la paura che cerca di nascondere.
La paura è più subdola del virus. E i medici sono cristiani
come noi, mica eroi. È facile dipingerli come macchine, mostrarli come robot
che vanno incontro alla morte e non temono niente, immaginarli soldati
pronti al martirio.
Ci lava la coscienza.
Macché. Hanno paura: si tocca, è densa. Passano le giornate avvolti nella
paura. Hanno famiglie, figli, genitori che non vedono da settimane. E
che non sanno se rivedranno.
Io, invece, sono solo. Carmela se n’è andata tre anni fa.
Aveva il taglio delle labbra all’insù, volgevano sempre al sole, anche
quando mi disse: «Grazie per aver rinnovato la promessa ogni giorno», e
spense la luce.
Dicono che il virus colpisce tutti, è democratico. Così
dicono. Io, però, vedo morire tanti vecchi. Non
anziani. Vecchi. Ché “anziani” serve solo a indorare la pillola. Noi siamo
“vecchi”.
Io sono vecchio. E non sto morendo adesso, in questo letto
d’ospedale. Sto morendo da anni. Da quando
quelli che dicono hanno deciso che non siamo più utili perché non possiamo
produrre. Ché ormai il valore delle persone si misura solo
in base a quello che producono materialmente.
Nessun merito al vissuto, allo spirito, all’anima di chi ha
visto migliaia di albe per tenere in piedi un Paese. Largo ai giovani,
dicono. E lo dicevo pure io. Ma poi sono passato dall’altra parte.
Perché certe cose non le capisci se non le vivi, soprattutto
quando non ti interessa capirle.
Ché poi non è vero che non serviamo, bastano
i soldi che spendiamo per le medicine. Hanno nomi che manco mi ricordo,
e una mi lascia un saporaccio che pare olio di ricino. Ma il dottor Franzè
dice che le devo pigliare perché ho il cuore come una carriola sgonfia. Così
dice: una carriola sgonfia.
Ma con questo trabiccolo a terra cammino da 23 anni, dal
giorno dell’infarto. Franzè mi diceva che potevo arrivare pure al secolo,
bastava rigonfiarla ogni tanto. Mo’ invece mi sa che non si gonfia più,
nonostante ‘sto compressore che pompa aria da ore.
Le chiamano “patologie pregresse”. Lo dicono sempre al tiggì
quando muore qualcuno in questi giorni, lo fanno per non allarmare la
gente. È come un’etichetta appesa all’alluce in
obitorio: «Anziano con patologie pregresse», che tradotto significa:
«State tranquilli, sono vecchi e malati, prima o poi dovevano morire». Così
dicono. E se ne fregano delle previsioni di Franzè.
Poi ci sono alcuni che dicono
che siamo un peso e che i 400 euro di pensione che prendiamo dovrebbero
darli ai giovani disoccupati. Pure questo dicono. E sembra che qualcuno li
abbia ascoltati e abbia mandato il flagello per
alzare la crescita zero. Questo non lo dicono, non è politicamente
corretto. Ma lo pensano tutti.
Ecco, è arrivata di nuovo quella ventata. È più fredda di
prima.
Mi chiamo Antonino P., ho 76 anni e sto
morendo in un letto di ospedale.
Alessandro Stella
Ps. per
fortuna non sono io ma lo dedico a tutti quelli che si rifiutano di portare
la mascherina, sono d’accordo, certe misure sono esagerate, ma meglio che ci
sono che non ci sono.
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