Lavoro in ospedale, le scrivo perché, da cittadina volverese vorrei
descriverle una giornata tipo. Una come tante, in questo periodo. Ma non
vorrei descriverle quello che stanno passando i media: numeri, statistiche,
decreti e divieti. Vorrei farlo visto dal lato del paziente Covid positivo e
degli operatori. Il Covid è molto più che un virus subdolo.
Siamo un paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di
nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per
ognuno di noi. Se lo riterrà opportuno, potrà condividerlo lei, per
sensibilizzare.
Che bello essere chiamati angeli, ma chissà se poi lo siamo davvero.
È un sabato mattina di una settimana di allerta Covid-19. Finalmente un
giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia.
Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire e non è mai
esistito. Tu devi lavorare, sei preziosa dicono. E invece no, niente riposo.
Arriva la chiamata. Si deve andare. C’è bisogno di coprire turni. Il lamento
è d’obbligo, non vorresti, ma si fa. Mentre ti prepari, rifletti che marzo
non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi ma
cosa sono i riposi?
Arrivi in ospedale, qualche figura nei corridoi, ma ancora troppa gente in
giro. Arrivi al reparto critico, quello dove sono ricoverati i pazienti
positivi. Tutto blindato, suoni. Ti apre la collega che è li da ieri sera.
Stremata, viso segnato dalla mascherina e gli occhiali, prendi consegna e la
congedi. Deve riposare. Suona un campanello. Ti sporgi alla camera
interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai,
e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene e non
si possono commettere errori di trascuratezza.
Entri dalla paziente, la conosci e la saluti. Ha un casco sulla testa, si
chiama C-pap. Serve per respirare meglio, non ha molte speranze e il monitor
al quale è collegata ne dà conferma. Ma la paziente è cosciente, lucida e
orientata nel tempo e nello spazio, ma soprattutto sa che sta per morire. Lo
sa, lo percepisce e lo sente. Parli un po’ con lei.
Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non
controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il
diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli.
Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei
per non morire dentro…
Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano…”Amore,
sei mamma?”. “Si, di due ragazzi”.
“Allora puoi capire cosa sto provando?”.
“Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo… ti ascolto”.
“Ho quattro figli e sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo,
anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova
da giovane. Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Ma un giorno,
uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.. è
stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore
nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli
voglio”.
“Ma chiamali al telefono e diglielo”.
“Si, ma non è la stessa cosa”.
“E vabbè, però ti sentono, ti parlano ed è già qualcosa, meglio di niente”.
“Li chiamo ogni giorno, li sento che stanno soffrendo perché non possono
stare con me fino alla fine”.
Entra il medico, la visita e squilla il telefono, è uno dei figli. La
paziente gli dice “c’è il medico, te lo passo”. Il medico descrive al figlio
la situazione. È davvero critica. Alla signora viene detto che dovrà essere
intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio chiede di poterla
vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile. il Covid non decide su
chi posarsi, si insinua su chiunque.
Il medico esce dalla stanza e la signora piange disperata. Mentre è ancora
al telefono con il figlio, il figlio piange con lei. Lei ha sempre su di te
quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa e chiedi
di passarle il telefono. La signora ha un telefono vecchio, non è anziana,
ma nemmeno tecnologica, non puoi avvicinare il telefono all’orecchio, quindi
non sai cosa ti risponde il figlio, ma quello sguardo ti ha trapanato e non
sei soltanto un operatore, sei mamma, sei figlia.
Dici al figlio: “Radunatevi tutti e quattro, ma proteggetevi con le
mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo
numero”.
E gli dai il tuo e vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una
cosa interrotta di netto, e la potrete vedere.
Gli dici che sarai li per altre dieci ore e di richiamare più volte se non
rispondo subito. Non passa neanche un’ora e la collega dice che dalla borsa
sta squillando il tuo telefono. Tu sei sempre vestita e sempre in quella
stanza, non sei mai uscita e le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in
un sacchettino, disinfettarlo e passartelo.
Apri la video-chiamata e tutti e quattro i figli lì. La paziente non se lo
aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’,
si raccontano, si dicono ti amo e lei desatura spesso perché si sta
affaticando, ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di
chiudere. Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la
decisione sia la loro.
La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso,
quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo per loro, per
vederli, per salutarli. Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi
figli e comprendi tutto..ogni sua preoccupazione.
Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai
fatto. E fai fatica a non piangere. La paziente si spegne. Decidi di uscire
e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la
cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in
camera mortuaria. Sola..sola..i suoi effetti personali messi in triplice
sacco nero andranno inceneriti.
È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma.
Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella
video chiamata. Dà indicazioni all’incaricato e vanno via… la sua macchina
svolta a destra, la salma va a sinistra..sola. Non ce la fai, quello è
troppo. E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai.
A casa apri Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il
bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa e
non si trova più lievito. Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la
gente, ma su una cosa ancora siamo fortunati: a noi ci saranno state anche
negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici, ma almeno noi abbiamo
ancora la dignità, un diritto che il Covid-19 ti toglie, senza poterti
lamentare. Un diario dalla prima linea.
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