La si leggeva sul viso affranto di Sandra Mondaini durante il funerale di Raimondo Vianello
Il ritratto del dolore
Lo smarrimento di quella domanda «Cosa farò adesso senza di te?»
La si leggeva sul viso affranto di Sandra Mondaini durante il funerale di Raimondo Vianello
MILANO - E adesso cosa faccio senza te? Come saranno i miei giorni? Chi d’ora in poi baderà a me e a chi baderò io?A chi dirò le cose che potevo dire soltanto a te? Potrò ridere mai più? Potrò mai più essere spensierata? Sono queste le domande che ieri si leggevano sulla faccia affranta di Sandra Mondaini, e sono le domande che lì per lì ci facciamo tutti quando, all'improvviso o anche niente affatto all'improvviso, rimaniamo soli con un lutto. Non c’è attesa che permetta di prepararsi davvero alla solitudine, non c’è malattia, pur grave e lunga, che abitui, che alleni al vuoto che verrà. Anche perché la malattia quasi sempre invade e riempie fino all'orlo le giornate di chi sta accanto al sofferente, tanto che subito dopo sembrano davvero insopportabilmente senza forma e senza senso, interminabili e inutili.
Le si leggeva sul volto, a Sandra, uno sconcerto, uno smarrimento, una ribellione e una disperazione come se non le fosse mai passato per la mente che suo marito Raimondo, giunto a 88 anni e poco saldo di salute, potesse un giorno sul serio morire, e morire prima di lei. Ed è normale che sia così perché, se sulla morte propria capita di riflettere, a maggior ragione via via che il tempo passa, quella di chi si ama non la si vuole mai nemmeno prendere in considerazione, e se ne allontana il pensiero, lo si scaccia più in fretta possibile, affinché, Dio non voglia, non porti magari sfortuna. Ma il suo viso raccontava anche la sensazione di aver perso l’identità, sensazione paradossale e incredibile per una donna che ha sempre lavorato con grande successo e non soltanto in coppia, una donna che ha sempre rigorosamente usato il nome suo, mai quello del marito, tanto che a chiamarla Sandra Vianello lì per lì la maggioranza non l’avrebbe forse nemmeno identificata con «la» Mondaini.
Eppure inevitabilmente succede a chi ha vissuto in armonia, sia pure disordinata oppure intermittente, ma non per questo meno salda, per lunghi anni con un marito o una moglie, compagno o compagna di allegrie, difficoltà, guerre, paci, fatiche, nervi, musi, scherzi, parole amare e parole dolci. Se uno dei due viene a mancare, chi resta si sente come se il socio forte avesse preso la porta o il compagno di ballo si fosse rotto una gamba.
Non sono più io, ci si dice, e capita di annaspare perché ricostruirsi, ridarsi un’identità propria — in solitudine — è difficile, manca la voglia, manca la spinta e occorre tempo, che non sempre si stende davanti sterminato.
Isabella Bossi Fedrigotti
18 aprile 2010
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